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Educare ai diritti umani

"Educare ai Diritti Umani"

educare ai diritti umani

Corso di Formazione presentato dal Movimento Shalom, in collaborazione con il Centro Servizi Volontariato della Provincia di Taranto

"Educare ai diritti umani" è, nel senso etimologico del termine e-ducere, condurre fuori dall'uomo, traghettare in superficie la conoscenza dei suoi diritti. E su questo viaggio dell'uomo nel suo diritto si è focalizzato il corso di formazione, svoltosi dal 22/1 al 26/2, realizzato dal Movimento Shalom Onlus di Taranto in collaborazione con il centro servizi volontariato della provincia di Taranto.

L'occasione per la riflessione è stata fornita dalla celebrazione dei 60 anni dalla nascita della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, a Parigi, il 10 dicembre del 1948. Questo documento, però, avendo natura programmatica, non può precettare l'obbedienza alle norme in esso contenute. Nonostante tale deficit di "giuridicità", però, la dichiarazione è intessuta di uno spirito rivoluzionario perché costituisce trascrizione, condivisa dagli stati firmatari della carta ONU, di plurisecolari conquiste del pensiero giuridico.

Ma la redazione di una norma è spesso espressione delle esigenze e della sensibilità di una società, anche per il necessario riflesso che l'applicazione giurisprudenziale della legge ha sulla collettività. E di questo "gioco sociale" della legge è stata data nitida dimostrazione nelle riflessioni svoltesi durante il corso. E, del resto, questa commistione tra coscienza giuridica e coscienza sociale era anticipata già dalla scelta dei due docenti del corso: l'avvocato Giovanni De Cataldis ed il sociologo Edmondo Motolese.

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Questi, alternandosi nella conduzione delle lezioni, si sono spogliati delle loro "vesti accademiche" e hanno dato, di volta in volta, l'impulso ad un circolo di idee parlanti, ad uno scambio di opinioni fra i partecipanti al corso. Ne è derivata, così, una modulazione ondeggiante di toni: più infervorati ed accesi su temi quali l'aborto, le violenze sui bambini, le riduzioni in schiavitù di ogni tipo; accorati nel discorrere su esperienze personali, sempre discretamente accennate; divertiti e distesi grazie alle allegre battute che spesso si inserivano naturalmente nel dibattito.

I corsisti erano, in prevalenza, volontari del Movimento Shalom e dell'Associazione culturale "Marco Motolese" ma non mancavano anche persone esterne a questi due mondi. L'eterogeneità culturale di ognuno ha permesso che la discussione non si sviluppasse in maniera monocorde.

Questa dialettica, spesso data per scontata, è possibile nel nostro paese perché il pluralismo è l'essenza della laicità di uno stato. Ciò ha indotto a riflettere sul monismo che, invece, impera in altri paesi. Monismo che conduce ad una "guerra santa" contro i diritti umani e che fa dell'interpretazione dei testi sacri fucina di condanne a morte per moltissime vite.

E proprio questa pluralità di voci e di esperienze mi è sembrata la testimonianza di un'importante verità: che è fondamentale che ognuno abbia una conoscenza il più possibile pluralistica, completa e sfronda di pregiudizi della problematica dei diritti umani.

Dall'ignoranza dei problemi dell'uomo non può discendere, infatti, il rispetto dei suoi diritti. Come corollario di tutto ciò è stata quindi sottolineata, durante le lezioni, anche la necessità che ci sia un'etica di coloro che hanno il compito di informare. E credo che dalla frequenza di questo corso sia emerso come insegnamento di fondo che è essenziale non solo conoscere le violazioni dei diritti umani ma soprattutto denunciarle.

I diritti, infatti, seppur sanciti formalmente nelle costituzioni degli Stati, in molti di questi restano spesso immobilizzati nella carta, mere enunciazioni di principio nei fatti disattese. Così, la legge resta muta, l'arbitrio dilaga e la libertà è negata. Come diceva Beccaria "non vi è libertà ogni qualvolta le leggi permettono che l'uomo cessi di essere persona e diventi cosa". Le mercificazioni dell'uomo, come si è appreso anche dalle dispense delle lezioni fornite, sono tante ed innumerevoli gli interessi che ne sono alla base.

Aver consapevolezza di ciò e formare una coscienza collettiva in tal senso è il primo passo per ottenere, nel tempo, il rispetto di quei diritti il cui esercizio assicura all'uomo la dignità di persona. Credo che quest'ultima considerazione, a cui sono ora giunta,sia banale. Il mondo di Shalom si è a me dischiuso da pochissimo ma mi ha insegnato da subito come la "banalità" sia essenziale.

Sto imparando, incontro dopo incontro, come ciò che molti giudicano scontato e che, per questo, trascurano è, invece, il punto di partenza imprescindibile per la soluzione dei problemi, per avere in dono quell'immenso che sono gli occhi vivi di un bambino. Non credo possibile né giusto tradurre in parole le emozioni più profonde che mi regala l'essere volontario. Ciò che posso dire, però, è che sto imparando quello che definirei il potere taumaturgico della semplicità: come una mela si trasforma nel mattone di una scuola, come un sottopentola possa dissetare, come un paio di orecchini possano insegnare a leggere e a scrivere.

È così che i volontari Shalom si trasformano in "apprendisti stregoni". Mi viene in mente come Hannah Arendt spiegò gli efferati crimini dei burocrati nazisti con "la banalità del male": persone che obbedivano semplicemente, senza sviluppare alcun pensiero autonomo, hanno così compiuto orrende violazioni di diritti umani. Ebbene, credo che con Shalom sto scoprendo la banalità del bene. È così che questo mondo aiuta a rafforzare in me l'idea che l'indifferenza e l'egoismo abbiano come antidoto l'essenzialità senza artifici, la semplicità quasi gridata. Doriana Girardi

Documento creato il 07/03/2008 (21:23)
Ultima modifica del 09/03/2011 (18:55)

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