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Recensioni dei CD- Rise And Fall Of Academic Drifting (Homesleep, 2001)
Struggente album di suadenti cavalcate art pop al limite del post rock, immerse in un trasognato mood melanconico circolare e rallentato, fatto di bellissime melodie e interessanti scelte di arrangiamento. Una sorta di biglietto da visita a mezzetinte, insomma, una foto di un paesaggio autunnale. [Rockit.it]
- Sono talmente preso alla ricerca di nuove cose oltreoceano da essermi accorto in ritardo che uno dei migliori gruppi slowcore del pianeta dista a meno di 100 Km dal mio tugurio.
I brani, prevalentemente strumentali, sono un concentrato purissimo di malinconia e trame chitarristiche lente, cristalline e flemmatiche ma che a tratti sfociano in ruvide coltri rumorose. E' comunque impossibile descrivere la bellezza di un esordio di tale portata, non vi resta che comprarlo a scatola chiusa e non perdere il loro prossimo concerto dal vivo: fonti affidabili mi assicurano che sono micidiali. [Marcello Ferri]
- Punk... not diet! (Homesleep, 2003)
Un album che già nei contenuti del suo titolo ha un preciso significato, un ponte diretto fra la passione che ne sta alla base e i risultati che ne sono frutto. Un disco dove il post rock in senso canonico è sempre meno scopo del disco, ma sempre più punto di partenza verso altro. ...Del passato rimane traccia nella lacerante "Connect the machine to the lips tower (be proud of your cake)". I nuovi GDM si sentono in pezzi come "Last act in Baires", una ballata romantica e assolutamente estatica, oppure in "When you were a postcard" e "The comforting of a trasparent life", dove le melodie si aprono in un crescendo emozionale che scava fino a toccare le più profonde corde dell'anima, così da gettare una fioca ma vivida luce di speranza sul futuro. [Rockit.it]
- I nuovi Giardini di Mirò di "Punk... Not Diet!" sono gli stessi di sempre. Suono ricco, al solito, orchestrale, che invita a alzare il volume per carpire, dietro alla maestosità dell'architettura, il cesello. Raffinatezza e classe. Il punk del titolo sta nella carica espressiva, nella sporcizia e nella durezza di strumentazioni comunque disciplinate. La voce è un altro strumento, fa parte della trama melodica. Un apporto creativo, senza che si sconvolga l'ordine delle cose. E' un altro passo dell'Italia che fa bella musica. Un passo piccolo e pieno di classe. [Fabrizio Roych]
- Gli orizzonti si ampliano con l'uso della voce e la scrittura di vere e proprie canzoni. Brani lenti e ipnotici, chitarre che intrecciano trame preziose e poi esplodono negli arpeggi delle chitarre elettriche, con le loro ammalianti trame circolari. Si comprende come gli orizzonti dei Giardini di Mirò si siano ampliati, e non solo per l'uso della voce. Brani sofferti, lenti e ipnotici. Ma non solo.
L'introspezione di "Once again a fond farewell" si distende lenta con toni scuri, "The comforting of a transparent life" è un passo più in là verso la forma canzone, e a metà si lascia invadere dal silenzio, per poi lasciare affiorare fiati, tastiere e archi in un finale che mette i brividi. E' uno degli apici del disco, così come la successiva "When you were a postcard", un vero incanto dove l'armonia lieve e freschissima della parte iniziale si tramuta in una ammaliante coda strumentale. Poi una ballata profonda degna dei migliori Low intitolata "Last act in Baires", impreziosita dalle voci di Kaye e Christy Brewster, una melodia nuda e intensa. E infine un breve frammento strumentale per piano e archi sigilla un lavoro intenso e ispirato. [Riccardo Dondi]
Recensione Concerto GDMIl concerto dei Giardini di Mirò è un caleidoscopio intimista, brani sofferti ed ipnotici riproducono paesaggi tinte pastello dai quali traspaiono i riflessi di una malinconia crepuscolare di stampo decisamente adolescenziale. Ai lunghi brani strumentali che hanno segnato gli esordi del gruppo, si alterano a canzoni in cui la voce riveste il ruolo di sesto strumento nella costruzione melodica del brano, in un gioco di specchi con violino e tromba. In ogni caso la struttura delle canzoni è sempre la stessa: arpeggi di chitarra tenui ed ammalianti che si comprimono sino ad esplodere in un rumorismo d'impatto davvero devastante. Le lunghe code che chiudono ogni pezzo sono un continuo susseguirsi di calma eterea e raggelanti attimi di tensione. I riferimenti possono essere molteplici, Barrett, Sonic Youth, Cocteau Twins fino ai nostrani Marlene Kuntz. Ma i Giardini di Mirò non viaggiano su un terreno sicuro. Di proprio ci mettono l'orchestrazione classicheggiante, gli arrangiamenti che danno all'insieme quel mood "intellettuale" preannunciato dal nome del gruppo e un uso discreto dell'elettronica che coniuga bene i campionamenti con le sonorità di stampo seventies degli organi e del piano elettrico. [Musicologi.com] Comunicato segnalato da Vincenzo Portone Documento creato il 28/03/2005 (20:35) Ultima modifica del 28/03/2005 (20:35)
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Fortune Cookie...E` meglio un magro accordo di una grassa sentenza.
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